Da La Repubblica del 10/03/2005

Ai confini tra la Georgia e la repubblica indipendentista, ribelli e profughi ceceni piangono Maskhadov

Nella miseria della Valle di Pankisi dove si addestrano i guerriglieri

È l´odio contro Mosca a tenere in vita migliaia di rifugiati, i quali temono la fine del monitoraggio Osce
Anche Basaev avrebbe trovato rifugio nelle grotte o tra i cunicoli di questa regione
I russi hanno distrutto decine di campi di addestramento di terroristi

di Giampaolo Visetti

VALLE DI PANKISI (GEORGIA) - La vallata dove i profughi ceceni si confondono con i guerriglieri, sale da pascoli bruciati verso selve scure e cime bianche di neve e di ghiaccio. La strada sterrata, bombardata di crateri, affonda per decine di chilometri in una terra selvaggia dove tutto sa di rovina e di abbandono.

Fattorie crollate, stabbi divelti, macerie che rilevano abitanti al riparo di finestre prive di vetri. Da accampamenti pastorizi, persi all´orizzonte e sparsi con casuale regolarità, sale il fumo chiaro degli spiedi. La sera non è contrastata dalla luce. La diga e la centrale elettrica che i cinesi stanno realizzando poco sotto i tremila metri, saranno pronte tra un anno. Fino ad allora è il sole, quando c´è, a rischiarare i villaggi dove si consuma una delle tragedie umanitarie da cui si preferisce deviare lo sguardo.

I vigneti di Tshinandali e la cantine millenarie della Khakezia, i monasteri di pietra dove la religione ortodossa è nata, distano due ore di corriera. La lontananza, oltre i posti di blocco che per anni hanno isolato i 283 chilometri del confine tra Georgia e Cecenia, non è però misurabile. Pochi metri e la frattura sociale, una cappa di paura e di pena, ti investono dalle mani tese di bambini e di donne che salutano tra immondizie e covoni marciti di fieno. Attorno brucano vacche, giovani maiali, piccoli greggi, asini. Vagano tra case e poveri orti, lasciando traccia sulla soglia e fin dentro abitazioni incustodite. Su una sedia, la cui schiena è servita per un fuoco, Fatìma vende un flacone di profumo «Cobra super». Ha sette anni: la sua merce è in offerta da tre.

Duisi, ultimo paese prima della frontiera presidiata dai russi, è una distesa di baracche con due negozi all´aperto e una chiesa vuota. Si può ritirare pane, acqua, biscotti e carne surgelata.

Chi ha soldi può trattare un paio di calze, o una camicia, sognare un falso servizio da due di tazzine cinesi. Acquisti una volta al mese, con l´arrivo degli aiuti umanitari. I ceceni wahabiti una notte hanno rubato la campana della cappella cristiana di santa Nino. Si è alzato un vento furioso - raccontano anziani di quarant´anni - la mezza luna della moschea è precipitata nel fango. Hanno avuto paura, ogni cosa è tornata al suo posto. E´ questo l´inaccessibile valle di Pankisi: la fusione di innocenza e banditismo, di povertà e continenza fatale, di abbandono e fanatismo religioso, di rancore e nostalgia per la patria fuggita, di terrorismo ceceno e propaganda russa. Il decoro della vita contadina e montanara è stato corroso dai conflitti scoppiati undici anni fa. Retrovie e fronte di guerra si sovrappongono. Non c´è istruzione, non c´è lavoro, a nessuno è consentito spostarsi.

Dal 1994, tra cunicoli scavati sotto i masi di sassi e dentro le grotte d´alta quota, hanno trovato rifugio i ribelli ceceni. Aslan Maskhadov, leader politico della guerriglia ammazzato martedì, secondo il Cremlino era nascosto qui, sui crinali che conducono in Daghestan, Inguscezia, Ossezia del Nord. La scorsa settimana lo hanno braccato nei boschi e nelle cantine. Ora i russi danno la caccia a Shamil Basaev, anima islamico-militare e unico sopravvissuto tra i leader dei ribelli. Sarebbe riparato nelle grotte che rompono i crinali georgiani, per sfuggire ai tradimenti che stanno decimando la guerriglia cecena in queste ore. Nelle gole, che presto schiudono in prati infiniti, l´esercito russo assicura di aver distrutto decine di campi di addestramento per terroristi convertiti all´islam e shakhide, le bambine kamikaze usate per far esplodere palazzi, teatri, aerei, metropolitane, scuole. I francesi sostengono che a Solati, sei chilometri da Duisi, dove nessuno ha mai raccontato di bombardamenti e incursioni russe, arabi e ceceni agli ordini di Al Qaeda stiano preparando ordigni di distruzione di massa. E´ uno spruzzo di case storte: non ci sono auto, acqua corrente, fognature. L´aspetto è quello di una baraccopoli, più che di un laboratorio atomico. Le donne e gli anziani kistintsi, minoranza ceceno-georgiana, siedono su panche all´aperto. I giovani nutrono scheletrici cavalli prima di affondare l´aratro nella terra grigia. Inchiodate ai castagni incombono sei parabole per la tivù satellitare. Anzor ha trasformato in denti l´oro che il padre, e prima il nonno, pure custodivano in bocca. «I terroristi - dice - sono un´invenzione di Mosca. Vogliono la Cecenia e l´Ossezia del sud, costringere la Georgia a rinunciare all´Abkhazia. Ogni notte aspettiamo le bombe: non è vita».

Anche Sirvan, e con lui Asmat, negano di aver mai incrociato un guerrigliero. In nero e tjubetejka, il copricapo caucasico, sostano tra i detriti della scuola crollata. «Ormai - recitano - restano solo i profughi. Se tornano in Cecenia i russi li ammazzano, in Georgia nessuno li può mantenere. E´ la Russia che sparge la guerra: perché l´Europa e gli Usa lasciano fare»? Non denuncerebbero, riconoscono, uomini armati. Si sono fatti crescere la barba, come i ribelli di Basaev: le autorità di Tbilisi negano loro i documenti. E´ l´odio contro Mosca a tenere in vita i duemila profughi, i novecento ceceni, i settemila nativi tra georgiani, daghestani e azerbajgiani. Sanno che se la comunità internazionale cederà al Cremlino, smantellando il monitoraggio Osce lungo il confine, la valle di Pankisi tornerà terra di nessuno. Un luogo ignorato: moneta di scambio politico per la guerra infinita, ma per chi nella miseria muore significa razzie, violenze, stupri di massa della soldataglia agli ordini di Ramzam Kadyrov, ricatti della guardia di frontiera, fame, bombe. «Putin dichiarerà che nutriamo i terroristi - dice Soslan - nessuno potrà provare la menzogna. Lo ha capito perfino uno come Bush che invece i terroristi sono al Cremlino. Una guerra nella guerra: contro gente inerme, madri e figli scappati dai massacri ceceni, contro gli stessi georgiani. Le vittime, non la pace, servono ai potenti».

Difficile avvicinarsi alla verità. Le donne, con i piedi nudi nei sandali, grondano di neonati e giurano che in Cecenia non torneranno più. Piangono Maskhadov. Negli anni Novanta, ma pure l´anno scorso, hanno valicato i passi a quota quattromila. Amici e parenti sono morti, o scomparsi. Esma, scampata all´inferno di Grozny, rimpiange sovkhoz e ordine dell´Urss. Zhena, una gamba sacrificata su una mina, ha regalato alla guerriglia il marito e tre ragazzi. E´ incinta: i maschi l´avrebbero uccisa, se avesse donato amore oltre i vincoli. Le carovane di uomini che trasportano sacchi gonfi a dorso di mulo, fotografate nelle stazioni di controllo, possono essere transumanze tra radure segrete. Ma pure l´indizio del contrabbando di droga dall´Afghanistan, del commercio di armi: o le migrazioni dei terroristi tra Caucaso e Asia centrale. Ogni anno vagano sul confine, a dieci chilometri dall´ultima casa, circa tremila persone non identificate. Non sono note le loro confidenze con i soldati-bambini abbandonati negli avamposti. Mosca identifica i migranti quali terroristi ceceni, Tblisi assicura che sono pastori georgiani. «Odio lo Stato - dice Sirvan - le sirene, i riflettori e le perquisizioni che ci travolgono ogni notte. Coltivo cetrioli, mi accontento della fede in Allah. Sono forte: è la civiltà ha indebolire la mente».

Ora che Maskhadov è morto e che il presidente georgiano Saakashvili ha riaperto il Pankisi per mostrare al mondo l´ordine ritrovato, mentire sarà pericoloso. Per questo tra i miserabili abbandonati monta l´allarme. Sanno che la realtà ha un prezzo. Le rive del torrente, dove riposano ottanta profughi che non hanno superato gli inverni, possono tornare rosse. «Mosca - dice David - ha bisogno di guerriglieri, non di esuli: li troverà, a costo di portare cadaveri armati da chissà dove». Se chiedi a Madina come va, risponde bene e prova un sorriso. Ti allontani e il buio del coprifuoco è rotto dai riflettori del posto di blocco: i suoi occhi ventenni ti fissano appannati. E´ immobile accanto a un tavolo da ping pong trasformato in letto: come un condannato.

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