Da Dani del 02/12/2005
Uranio impoverito, dieci anni dopo
Dieci anni dopo i bombardamenti della NATO, la Bosnia Erzegovina inizia a fare i conti con le conseguenze delle radiazioni dei proiettili all'uranio impoverito.
di Emir Suljagic
A dieci anni dalla fine della guerra sono stati finalmente confermati i peggiori presentimenti e le peggiori paure relative all'uso dell'uranio impoverito in BiH. Il rapporto della commissione parlamentare - la Commissione d'indagine per determinare il grado di radiazione dell'uranio impoverito e le conseguenze sulla salute dei cittadini della BiH - non lascia dubbi su due cose: primo, che la NATO durante le operazioni nell'autunno del 1994 e nel 1995 impiegava munizioni con uranio impoverito; e secondo, che le conseguenze sulla salute dei cittadini che si sono trovati vicino agli obbiettivi non sono per niente trascurabili. Anzi, fino ad ora un numero indeterminato di cittadini della BiH è morto per le conseguenze delle radiazioni, mentre le conseguenze per l'ambiente naturale saranno permanenti, almeno là dove sono state effettuate le azioni militari.
Il rapporto, che Dani ha ricevuto in visione, è il risultato di un'indagine durata più mesi condotta da una commissione parlamentare composta da nove membri ed è il primo tentativo da parte del governo attuale di determinare almeno le conseguenze delle operazioni che la NATO aveva condotto in questo paese. Il rapporto si basa su una documentazione molto voluminosa, comprese anche la ricerche sull'aumento del tasso e sulla struttura della mortalità fra i cittadini delle zone colpite. Il silenzio, con il quale il governo della BiH fino ad ad ora ha seguito le ricerche sull'uranio impoverito, aveva un ovvio motivo: lo scopo dichiarato dello Stato di diventare prima membro della Partnership per la pace e poi membro della stessa NATO.
Durante l'operazione “Deliberate Force”, gli aerei della NATO colpirono 21 obiettivi militare, a quel tempo sotto il controllo del VRS (Esercito della Republika srpska, ndt). Nonostante il fatto che la NATO abbia riconosciuto l'uso di munizioni all'uranio impoverito e abbia reso note le coordinate di 16 obbiettivi, preoccupa il fatto che la Commissione di inchiesta del Parlamento della BiH non possa avere accesso ai dati relativi ai cinque obiettivi rimanenti; queste cinque locazioni, si dice nel rapporto, si trovano nelle vicinanze di Sarajevo. Considerando il fatto che la maggior parte degli obbiettivi erano armi d'artiglieria che allora si trovavano all'interno della zona di esclusione, dunque, ben fortificata, il calibro più usato durante l'operazione era di 30 millimetri. I proiettili venivano sparati da aerei del tipo A-10, nel gergo militare americano noti anche come tank-busters. Durante l'operazione, sul territorio della BiH sono stati sparati 6.380 proiettili prevalentemente di calibro 30 mm! A ben guardare, il numero dei proiettili sparati è maggiore, si afferma nella conclusione della Commissione, e probabilmente si tratta anche di calibri più grandi, perché l'uranio impoverito viene usato anche nella produzione dei proiettili per i canoni da 120 millimetri. Con ciò, solo alcune centinaia di proiettili sono stati trovati e rimossi; il resto è impossibile da localizzare.
Uno dei documenti cui fa riferimento questo rapporto e anche la ricerca dell'UNEP (United Nations Environment Program), pubblicata due anni fa; questa ricerca ha confermato l'innalzamento del livello di radiazione a Hadzici, nel magazzino per le munizioni, nell'ex istituto di riparazione, nella caserma e nel magazzino delle munizioni per l'artiglieria a Han-Pijesak. A Hadzici i membri del contingente tedesco della SFOR hanno trovato una “cassa di munizioni all'uranio impoverito usate, in cui c'erano schegge di proiettili/perforanti, frammenti, granelli e simili avanzi di munizioni usate”, si dice nel rapporto. Il vero problema è che non si sa per niente quanto a lungo siano rimaste là le munizioni, e che fine abbiano fatto, benché la NATO abbia fornito un comunicato in cui si dice che le munizioni nella primavera del 2001 sono state spostate negli USA. Per questo non sono state trovate le prove.
Durante le indagini nelle dodici locazioni rimaste o non è stato registrato un innalzamento del livello delle radiazioni o non è stato possibile condurre un'indagine completa, a causa delle mine rimaste sepolte durante la guerra. Una di queste locazioni è il monte Rosca, dove gli aerei della NATO nell'autunno del 1994 distrussero il canone semovente del VRS: il terreno era minato e non si poteva passare. A Pjelugovici, dove venivano impiegate munizioni con uranio impoverito, non è stato rilevato un aumento del livello di radiazioni, ma la Commissione crede che esista la possibilità di una “penetrazione dell'uranio impoverito nelle profondità del terreno”. Nelle locazioni rimaste, Pale, Vogosca, Ustikolina, Foca, Kalinovik, Glamoc e sulla Bjelasnica è certo che non ci siano radiazioni, ma in alcuni di questi luoghi “è stata evidenziata un'alta concentrazione di metalli pesanti”.
Questa però non è l'unica mancanza della ricerca dell'UNEP, che solo in modo superficiale si occupa delle conseguenze dell'uso dell'uranio impoverito e constata che il numero dei malati di cancro non è in crescita. Invece, le ricerche degli esperti locali, focalizzate sugli abitanti delle regioni colpite, indicano un elevato tasso di malati di cancro e di mutazioni genetiche che potrebbero essere conseguenza dell'esposizione alle radiazioni, il secondo effetto dell'uranio impoverito sono i problemi emozionali e mentali, la stanchezza, la perdita del controllo di alcune funzioni vitali del corpo, che sono alcuni dei sintomi anche della “sindrome dei Balcani”. Anche la leucemia, che letteralmente devasta i soldati italiani che sono stati in Bosnia ed Erzegovina, è stata oggetto d'indagine da parte del potere militare e civile italiano.
Inoltre, la Commissione ha affermato che “esistono indizi sul collegamento tra il tasso di malignità e l'azione delle munizioni all'uranio impoverito”, e le conseguenze “possono manifestarsi in un periodo latente che va dai dieci anni in su”. Il danno per l'ambiente e le conseguenze dell'inquinamento delle acque sotterranee e delle sorgenti, fra il resto, sono di lunga scadenza e dovranno passare alcuni anni per far sì che diventino evidenti. Ciò che, invece, indica il fatto che la crisi è molto più acuta, sono i due documenti, redatti esclusivamente per le necessità dell'inchiesta parlamentare, entrambi legati direttamente allo stato di salute dei cittadini di Hadzici.
La ricerca sul tasso di mortalità fra gli abitanti di Hadzici, che dopo la guerra sono andati ad abitare a Bratunac, indica che l'aumento del tasso di mortalità fra gli abitanti di Hadzici potrebbe avere a che fare unicamente col fatto che fossero esposti all'azione dell'uranio impoverito. Il tasso di mortalità fra i profughi di Hadzici a Bratunac variava fra otto, durante il 1996, e 20 volte, durante il 2000, ed era da tre a dieci volte più alto del tasso di mortalità fra gli altri profughi.
L'autrice delle ricerche, la dottoressa di Bratunac Slavica Jovanovic, dice che di per sé la vita dei profughi è già abbastanza traumatica da poter provocare un aumento del tasso di mortalità, tuttavia, la presenza di carcinoma fra i profughi di Hadzici è molto più alta. Secondo i risultati delle sue indagini, l'incidenza del carcinoma sul tasso di mortalità dei profughi di Hadzici subito dopo la guerra era del 19,4 per cento, nel 1998 tale percentuale incredibilmente era del 27, 6 per cento, per “inchiodarsi” al diciotto per cento nei successivi due anni. Per fare un confronto, l'incidenza del carcinoma sulla mortalità degli altri profughi subito dopo la guerra era del dieci per cento, e sulla popolazione locale poco più del sei per cento. I risultati finali delle indagini sono a dir poco allarmanti.
Dunque, il tasso di mortalità fra gli abitanti di Hadzici è di 2,2 volte più alto del tasso di mortalità a Bratunac, di circa quattro volte più alto del tasso di mortalità della popolazione che vi risiede, e di circa due volte e mezzo più alto del tasso di mortalità degli altri profughi. Inoltre l'indice di morte per carcinoma è significativo, ed è più alto che negli altri gruppi di profughi.
Le indagini dell'Istituto per l'ingegneria genetica e per la biotecnologia di Sarajevo, svolte fra la popolazione di Sarajevo e di Hadzici - più esattamente, fra i lavoratori dell'Istituto tecnico di riparazione di Hadzici – mostra un aumento della “frequenza di aberrazioni del tipo cromosomico fra gli ultimi. In altre parole, il disordine dei cromosomi - una sorta di mutazione genetica - fra gli abitanti di Hadzici è più alto del normale, e nonostante non possano essere direttamente collegati all'esposizione all'uranio, questa probabilmente è una delle possibili spiegazioni. Sanin Haveric, uno degli autori del progetto, dice: “Non possiamo escludere anche il fenomeno di alcuni altri agenti genotossici e perciò vorremmo continuare questa ricerca.” Invece, i risultati ai quali è arrivato l'Istituto indicano che fra gli abitanti di Hadzici la percentuale di errori nei cromosomi è più alta di quella tollerata del tre per cento. Anzi, la comparsa di “cromosomi dicentrici” in questo gruppo di esaminati, che sono molto rari nelle persone sane, è più alto di quello tollerato ed è “un chiaro indicatore dell'esposizione alle radiazioni”.
Inoltre, i cambiamenti nella struttura dei cromosomi, che fra gli esaminati di Sarajevo sono sotto il limite di tolleranza del 4,4 per cento, fra gli esaminati di Hadzici supera tale limite nel 57 per cento dei casi. In un linguaggio comprensibile a tutti, come conseguenza delle radiazioni avviene una “perdita”, cioè un danneggiamento del materiale genetico. Siccome, si dice nella conclusione del rapporto, gli abitanti di Hadzici sottoposti ad esame mostrano modificazioni genetiche molto più frequenti che negli altri esaminati, è chiaro che esiste un legame fra l'uranio impoverito e l'aumento della frequenza delle mutazioni genetiche.
In altre parole, il prezzo non è stato pagato nemmeno un po'. Inoltre, per il fatto che non si sa quanti abitanti di questo paese siano morti a causa delle radiazioni, è chiaro che la cosa non finisce qui. L'uranio si mantiene molto a lungo nell'organismo ed è approvato che influisce sul DNA; sull'orrore delle mutazioni viste in precedenza in altre situazioni simili, non serve spendere nemmeno una parola. Le generazioni, che nel periodo dei bombardamenti non sapevano cosa stesse accadendo attorno a loro, continueranno a pagare il prezzo. E affinché la cosa sia peggiore, queste bombe sono state buttate in loro nome.
Il rapporto, che Dani ha ricevuto in visione, è il risultato di un'indagine durata più mesi condotta da una commissione parlamentare composta da nove membri ed è il primo tentativo da parte del governo attuale di determinare almeno le conseguenze delle operazioni che la NATO aveva condotto in questo paese. Il rapporto si basa su una documentazione molto voluminosa, comprese anche la ricerche sull'aumento del tasso e sulla struttura della mortalità fra i cittadini delle zone colpite. Il silenzio, con il quale il governo della BiH fino ad ad ora ha seguito le ricerche sull'uranio impoverito, aveva un ovvio motivo: lo scopo dichiarato dello Stato di diventare prima membro della Partnership per la pace e poi membro della stessa NATO.
Durante l'operazione “Deliberate Force”, gli aerei della NATO colpirono 21 obiettivi militare, a quel tempo sotto il controllo del VRS (Esercito della Republika srpska, ndt). Nonostante il fatto che la NATO abbia riconosciuto l'uso di munizioni all'uranio impoverito e abbia reso note le coordinate di 16 obbiettivi, preoccupa il fatto che la Commissione di inchiesta del Parlamento della BiH non possa avere accesso ai dati relativi ai cinque obiettivi rimanenti; queste cinque locazioni, si dice nel rapporto, si trovano nelle vicinanze di Sarajevo. Considerando il fatto che la maggior parte degli obbiettivi erano armi d'artiglieria che allora si trovavano all'interno della zona di esclusione, dunque, ben fortificata, il calibro più usato durante l'operazione era di 30 millimetri. I proiettili venivano sparati da aerei del tipo A-10, nel gergo militare americano noti anche come tank-busters. Durante l'operazione, sul territorio della BiH sono stati sparati 6.380 proiettili prevalentemente di calibro 30 mm! A ben guardare, il numero dei proiettili sparati è maggiore, si afferma nella conclusione della Commissione, e probabilmente si tratta anche di calibri più grandi, perché l'uranio impoverito viene usato anche nella produzione dei proiettili per i canoni da 120 millimetri. Con ciò, solo alcune centinaia di proiettili sono stati trovati e rimossi; il resto è impossibile da localizzare.
Uno dei documenti cui fa riferimento questo rapporto e anche la ricerca dell'UNEP (United Nations Environment Program), pubblicata due anni fa; questa ricerca ha confermato l'innalzamento del livello di radiazione a Hadzici, nel magazzino per le munizioni, nell'ex istituto di riparazione, nella caserma e nel magazzino delle munizioni per l'artiglieria a Han-Pijesak. A Hadzici i membri del contingente tedesco della SFOR hanno trovato una “cassa di munizioni all'uranio impoverito usate, in cui c'erano schegge di proiettili/perforanti, frammenti, granelli e simili avanzi di munizioni usate”, si dice nel rapporto. Il vero problema è che non si sa per niente quanto a lungo siano rimaste là le munizioni, e che fine abbiano fatto, benché la NATO abbia fornito un comunicato in cui si dice che le munizioni nella primavera del 2001 sono state spostate negli USA. Per questo non sono state trovate le prove.
Durante le indagini nelle dodici locazioni rimaste o non è stato registrato un innalzamento del livello delle radiazioni o non è stato possibile condurre un'indagine completa, a causa delle mine rimaste sepolte durante la guerra. Una di queste locazioni è il monte Rosca, dove gli aerei della NATO nell'autunno del 1994 distrussero il canone semovente del VRS: il terreno era minato e non si poteva passare. A Pjelugovici, dove venivano impiegate munizioni con uranio impoverito, non è stato rilevato un aumento del livello di radiazioni, ma la Commissione crede che esista la possibilità di una “penetrazione dell'uranio impoverito nelle profondità del terreno”. Nelle locazioni rimaste, Pale, Vogosca, Ustikolina, Foca, Kalinovik, Glamoc e sulla Bjelasnica è certo che non ci siano radiazioni, ma in alcuni di questi luoghi “è stata evidenziata un'alta concentrazione di metalli pesanti”.
Questa però non è l'unica mancanza della ricerca dell'UNEP, che solo in modo superficiale si occupa delle conseguenze dell'uso dell'uranio impoverito e constata che il numero dei malati di cancro non è in crescita. Invece, le ricerche degli esperti locali, focalizzate sugli abitanti delle regioni colpite, indicano un elevato tasso di malati di cancro e di mutazioni genetiche che potrebbero essere conseguenza dell'esposizione alle radiazioni, il secondo effetto dell'uranio impoverito sono i problemi emozionali e mentali, la stanchezza, la perdita del controllo di alcune funzioni vitali del corpo, che sono alcuni dei sintomi anche della “sindrome dei Balcani”. Anche la leucemia, che letteralmente devasta i soldati italiani che sono stati in Bosnia ed Erzegovina, è stata oggetto d'indagine da parte del potere militare e civile italiano.
Inoltre, la Commissione ha affermato che “esistono indizi sul collegamento tra il tasso di malignità e l'azione delle munizioni all'uranio impoverito”, e le conseguenze “possono manifestarsi in un periodo latente che va dai dieci anni in su”. Il danno per l'ambiente e le conseguenze dell'inquinamento delle acque sotterranee e delle sorgenti, fra il resto, sono di lunga scadenza e dovranno passare alcuni anni per far sì che diventino evidenti. Ciò che, invece, indica il fatto che la crisi è molto più acuta, sono i due documenti, redatti esclusivamente per le necessità dell'inchiesta parlamentare, entrambi legati direttamente allo stato di salute dei cittadini di Hadzici.
La ricerca sul tasso di mortalità fra gli abitanti di Hadzici, che dopo la guerra sono andati ad abitare a Bratunac, indica che l'aumento del tasso di mortalità fra gli abitanti di Hadzici potrebbe avere a che fare unicamente col fatto che fossero esposti all'azione dell'uranio impoverito. Il tasso di mortalità fra i profughi di Hadzici a Bratunac variava fra otto, durante il 1996, e 20 volte, durante il 2000, ed era da tre a dieci volte più alto del tasso di mortalità fra gli altri profughi.
L'autrice delle ricerche, la dottoressa di Bratunac Slavica Jovanovic, dice che di per sé la vita dei profughi è già abbastanza traumatica da poter provocare un aumento del tasso di mortalità, tuttavia, la presenza di carcinoma fra i profughi di Hadzici è molto più alta. Secondo i risultati delle sue indagini, l'incidenza del carcinoma sul tasso di mortalità dei profughi di Hadzici subito dopo la guerra era del 19,4 per cento, nel 1998 tale percentuale incredibilmente era del 27, 6 per cento, per “inchiodarsi” al diciotto per cento nei successivi due anni. Per fare un confronto, l'incidenza del carcinoma sulla mortalità degli altri profughi subito dopo la guerra era del dieci per cento, e sulla popolazione locale poco più del sei per cento. I risultati finali delle indagini sono a dir poco allarmanti.
Dunque, il tasso di mortalità fra gli abitanti di Hadzici è di 2,2 volte più alto del tasso di mortalità a Bratunac, di circa quattro volte più alto del tasso di mortalità della popolazione che vi risiede, e di circa due volte e mezzo più alto del tasso di mortalità degli altri profughi. Inoltre l'indice di morte per carcinoma è significativo, ed è più alto che negli altri gruppi di profughi.
Le indagini dell'Istituto per l'ingegneria genetica e per la biotecnologia di Sarajevo, svolte fra la popolazione di Sarajevo e di Hadzici - più esattamente, fra i lavoratori dell'Istituto tecnico di riparazione di Hadzici – mostra un aumento della “frequenza di aberrazioni del tipo cromosomico fra gli ultimi. In altre parole, il disordine dei cromosomi - una sorta di mutazione genetica - fra gli abitanti di Hadzici è più alto del normale, e nonostante non possano essere direttamente collegati all'esposizione all'uranio, questa probabilmente è una delle possibili spiegazioni. Sanin Haveric, uno degli autori del progetto, dice: “Non possiamo escludere anche il fenomeno di alcuni altri agenti genotossici e perciò vorremmo continuare questa ricerca.” Invece, i risultati ai quali è arrivato l'Istituto indicano che fra gli abitanti di Hadzici la percentuale di errori nei cromosomi è più alta di quella tollerata del tre per cento. Anzi, la comparsa di “cromosomi dicentrici” in questo gruppo di esaminati, che sono molto rari nelle persone sane, è più alto di quello tollerato ed è “un chiaro indicatore dell'esposizione alle radiazioni”.
Inoltre, i cambiamenti nella struttura dei cromosomi, che fra gli esaminati di Sarajevo sono sotto il limite di tolleranza del 4,4 per cento, fra gli esaminati di Hadzici supera tale limite nel 57 per cento dei casi. In un linguaggio comprensibile a tutti, come conseguenza delle radiazioni avviene una “perdita”, cioè un danneggiamento del materiale genetico. Siccome, si dice nella conclusione del rapporto, gli abitanti di Hadzici sottoposti ad esame mostrano modificazioni genetiche molto più frequenti che negli altri esaminati, è chiaro che esiste un legame fra l'uranio impoverito e l'aumento della frequenza delle mutazioni genetiche.
In altre parole, il prezzo non è stato pagato nemmeno un po'. Inoltre, per il fatto che non si sa quanti abitanti di questo paese siano morti a causa delle radiazioni, è chiaro che la cosa non finisce qui. L'uranio si mantiene molto a lungo nell'organismo ed è approvato che influisce sul DNA; sull'orrore delle mutazioni viste in precedenza in altre situazioni simili, non serve spendere nemmeno una parola. Le generazioni, che nel periodo dei bombardamenti non sapevano cosa stesse accadendo attorno a loro, continueranno a pagare il prezzo. E affinché la cosa sia peggiore, queste bombe sono state buttate in loro nome.
Annotazioni − Articolo pubblicato su Osservatorio sui Balcani http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/5016/1/51/.
Traduzione di Ivana Telebak.
Traduzione di Ivana Telebak.
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CLUT, 2006