Da La Repubblica del 28/11/2005
Ieri via alle elezioni per scegliere il parlamento: minacce per chi si astiene e intimidazioni dalla milizia filo-russa
Cecenia, il voto non porta la pace
La repubblica indipendentista alle urne in un clima di guerra
Il Paese è sempre spaccato in due, tra il clan "moscovita" e i terroristi islamici
"Affluenza record" affermano dal partito del Cremlino. Ma c'è chi vota più volte
di Giampaolo Visetti
GROZNY - I cimiteri dei villaggi sono deserti. Si capisce che ieri, per la prima volta, in Cecenia si è eletto il Parlamento. Chi non è andato al seggio, oggi sentirà battere alla porta. I 5 mila uomini della milizia di Ramzan Kadyrov sono stati chiari: se non voti può capitare che un bandito ti sequestri. «Il riscatto costa - dice Hussein Ibraghimov - chi non paga, non torna». E' il terrore a spingere alle urne. A Bratskoe, questa domenica, i morti si piangono in casa.
Mosca non vuole che i ceceni ricordino. Per un giorno devono guardare al futuro. Vestito pulito e al seggio con la famiglia. Ci sono le televisioni, i giornalisti stranieri, una manciata di parlamentari europei. «Tutto bene - assicura la vecchia Iakha Khozakhanova - si spara solo di notte». Il Cremlino lo chiama «processo politico post-bellico». La messinscena di una guerra sospesa per voto non ammette amnesie. Oggi a Grozny deve essere una bella giornata elettorale. La propaganda è incollata alle macerie. Le autorità illustrano la ricostruzione. «E' la città più distrutta del mondo - dice il sindaco Movsar Temibaev - ma a nessuno manca tetto e pane». Più scorrono i palazzi sventrati e più luccica il nero delle scarpe a punta dei profughi. Hanno abbandonato i campi dell'Inguscezia illusi dagli indennizzi. La corruzione ha divorato ogni rublo.
Degli otto partiti che si contendono i 61 seggi, dei 348 candidati, delle due Camere, nessuno sa nulla. Nessuno dei ceceni sa cosa stia succedendo in Cecenia. Dieci amni di guerra e di paura hanno dimezzato la popolazione. Grozny resta quella degli ultimi bombardamenti. I sopravvissuti, eroi straccioni che hanno rifiutato di lasciare casa e patria, sono stanchi di bugie. «Nulla cambierà - dice Mani Bataeav, patriarca di Pobedinskoe - : chi addestrava kamikaze contro Mosca ora è in lista per la Russia. L'anima si vende all'asta». Per Putin «si chiude la terza tappa della rinascita»: referendum sulla Costituzione, presidenziali e ora politiche. Tutto a posto, per la comunità internazionale.
Per i ceceni, indipendentisti nel cuore, si apre invece l'era del giovane Kadyrov. Un Parlamento nelle sue mani, per farlo eleggere presidente appena compirà trent'anni: o quando Alkhanov, «il codardo Alu», sarà eliminato. Allora la partita sarà chiara. Da una parte i clan filo-russo del figlio di Akhmad, «il vicepremier che ha avuto il coraggio di pestare in pubblico il capo del consiglio della Repubblica». Dall'altra le bande terroristiche di Shamil Basaiev, il mito della guerriglia separatista, l'ambasciatore del wahabismo caucasico sopravvissuto al moderato Maskhadov. Per questo si è in coda nei seggi.
Schierati 24 mila soldati e poliziotti, 170 mila militari per 600 mila elettori e 1500 ribelli. «Finti candidati di falsi partiti - dice Salaudi Kosh-Baudin - un Parlamento senza poteri. Purché in Cecenia abbia inizio la sfida finale: uomo contro uomo». Dalle montagne rimbombano i combattimenti. Rapimenti, stupri e agguati squarciano la notte. I giornalisti sono «sequestrati» dai funzionari governativi. Vengono portati dove non c'è nulla da vedere, o qualche elettore spaventato che rassicura. Fino a sabato nemmeno una notizia dalla Tv russa: tre articoli sui tre giornali meno venduti di Mosca.
Silenzio sulla parodia del voto a Grozny: assenti gli osservatori Osce, folla di "certificatori" dell'ex Urss. «Affluenza record - comunicano - vittoria di Russia Unita (il partito del Cremlino)». Decine di posti di blocco, perquisizioni a tappeto, cannoni e carri armati davanti ai seggi, campi minati, stranieri sotto scorta. «Nonostante ci sia la pace - avverte un colonnello - muoversi è pericoloso. Se sentite sparare, buttatevi a terra». Ci si muove tra paesi abbandonati e resti di città: 183 gli obiettivi terroristici circondati, tremila kalashnikov a proteggere gasdotti, oleodotti e rete elettrica. A Grozny non c'è un albergo: nascosti dai blindati si aspetta l'esito delle urne barricati in caserma. Vietato spingersi verso Vedeno, Gudermes, Tsentoroj: nelle province si combatte. L'orecchio è teso alle voci di attentati. Una domenica nei seggi con l'incubo di un attacco della guerriglia. «Ma io - dice il sindaco di Grozny - temo solo gli incidenti stradali». «Queste elezioni sono state una commedia - corregge più tardi lo scrutatore Djovkhar Ghelaev - : l'offensiva di Baseiev arriverà presto».
Non era difficile entrare in una sezione e votare più volte. Anche i candidati di comunisti, destra liberale, Jabloko e Rodina erano fiduciari di Putin e Kadyrov. Impossibile controllare seriamente qualcosa. Tanto meno il conteggio iniziato ieri notte: nessuna curiosità per risultati già scritti. «Peggio del peggio - dice Salam Alikhanov - tutto come prima: comanda Ramzan, proconsole di Mosca, con potere di vita e di morte».
Mosca non vuole che i ceceni ricordino. Per un giorno devono guardare al futuro. Vestito pulito e al seggio con la famiglia. Ci sono le televisioni, i giornalisti stranieri, una manciata di parlamentari europei. «Tutto bene - assicura la vecchia Iakha Khozakhanova - si spara solo di notte». Il Cremlino lo chiama «processo politico post-bellico». La messinscena di una guerra sospesa per voto non ammette amnesie. Oggi a Grozny deve essere una bella giornata elettorale. La propaganda è incollata alle macerie. Le autorità illustrano la ricostruzione. «E' la città più distrutta del mondo - dice il sindaco Movsar Temibaev - ma a nessuno manca tetto e pane». Più scorrono i palazzi sventrati e più luccica il nero delle scarpe a punta dei profughi. Hanno abbandonato i campi dell'Inguscezia illusi dagli indennizzi. La corruzione ha divorato ogni rublo.
Degli otto partiti che si contendono i 61 seggi, dei 348 candidati, delle due Camere, nessuno sa nulla. Nessuno dei ceceni sa cosa stia succedendo in Cecenia. Dieci amni di guerra e di paura hanno dimezzato la popolazione. Grozny resta quella degli ultimi bombardamenti. I sopravvissuti, eroi straccioni che hanno rifiutato di lasciare casa e patria, sono stanchi di bugie. «Nulla cambierà - dice Mani Bataeav, patriarca di Pobedinskoe - : chi addestrava kamikaze contro Mosca ora è in lista per la Russia. L'anima si vende all'asta». Per Putin «si chiude la terza tappa della rinascita»: referendum sulla Costituzione, presidenziali e ora politiche. Tutto a posto, per la comunità internazionale.
Per i ceceni, indipendentisti nel cuore, si apre invece l'era del giovane Kadyrov. Un Parlamento nelle sue mani, per farlo eleggere presidente appena compirà trent'anni: o quando Alkhanov, «il codardo Alu», sarà eliminato. Allora la partita sarà chiara. Da una parte i clan filo-russo del figlio di Akhmad, «il vicepremier che ha avuto il coraggio di pestare in pubblico il capo del consiglio della Repubblica». Dall'altra le bande terroristiche di Shamil Basaiev, il mito della guerriglia separatista, l'ambasciatore del wahabismo caucasico sopravvissuto al moderato Maskhadov. Per questo si è in coda nei seggi.
Schierati 24 mila soldati e poliziotti, 170 mila militari per 600 mila elettori e 1500 ribelli. «Finti candidati di falsi partiti - dice Salaudi Kosh-Baudin - un Parlamento senza poteri. Purché in Cecenia abbia inizio la sfida finale: uomo contro uomo». Dalle montagne rimbombano i combattimenti. Rapimenti, stupri e agguati squarciano la notte. I giornalisti sono «sequestrati» dai funzionari governativi. Vengono portati dove non c'è nulla da vedere, o qualche elettore spaventato che rassicura. Fino a sabato nemmeno una notizia dalla Tv russa: tre articoli sui tre giornali meno venduti di Mosca.
Silenzio sulla parodia del voto a Grozny: assenti gli osservatori Osce, folla di "certificatori" dell'ex Urss. «Affluenza record - comunicano - vittoria di Russia Unita (il partito del Cremlino)». Decine di posti di blocco, perquisizioni a tappeto, cannoni e carri armati davanti ai seggi, campi minati, stranieri sotto scorta. «Nonostante ci sia la pace - avverte un colonnello - muoversi è pericoloso. Se sentite sparare, buttatevi a terra». Ci si muove tra paesi abbandonati e resti di città: 183 gli obiettivi terroristici circondati, tremila kalashnikov a proteggere gasdotti, oleodotti e rete elettrica. A Grozny non c'è un albergo: nascosti dai blindati si aspetta l'esito delle urne barricati in caserma. Vietato spingersi verso Vedeno, Gudermes, Tsentoroj: nelle province si combatte. L'orecchio è teso alle voci di attentati. Una domenica nei seggi con l'incubo di un attacco della guerriglia. «Ma io - dice il sindaco di Grozny - temo solo gli incidenti stradali». «Queste elezioni sono state una commedia - corregge più tardi lo scrutatore Djovkhar Ghelaev - : l'offensiva di Baseiev arriverà presto».
Non era difficile entrare in una sezione e votare più volte. Anche i candidati di comunisti, destra liberale, Jabloko e Rodina erano fiduciari di Putin e Kadyrov. Impossibile controllare seriamente qualcosa. Tanto meno il conteggio iniziato ieri notte: nessuna curiosità per risultati già scritti. «Peggio del peggio - dice Salam Alikhanov - tutto come prima: comanda Ramzan, proconsole di Mosca, con potere di vita e di morte».
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